Monumental Nativity of Castelli
December 1965
L’opera monumentale Il Presepe è la testimonianza di una felice applicazione didattica al servizio della scuola e dell’arte. Opera corale, improntata sull’esigenza di una ricerca formale, fu progettata e diretta dal ceramista Serafino Vecellio Mattucci (Direttore dal 1958 al 1977) che volle per il nuovo Istituto d’Arte (1961) insegnanti-scultori quali Gianfranco Trucchia, Roberto Bentini e Daniele Guerrieri.
Attingendo “nel solco profondo della tradizione” e accogliendo l’invito di Giò Ponti ad indagare il destino della ceramica che realizzava “una quarta dimensione alla scultura… nella quale forma-materia-colore sono una cosa sola”, Mattucci iniziò fin dal 1955 ad elaborare l’idea di una nuova plasticità per Castelli. Così negli anni sessanta, in pieno informale, l’artista fece una riflessione sulle potenzialità della materia e stabilendo un contatto più plastico che decorativo con la madre terra realizzò con professori e studenti un’opera per la scuola che facesse scuola come un viaggio nella cultura e nella civiltà dell’uomo e in continuo divenire. Nelle vesti di regista individuò per la composizione architettonica delle figure, la forma archetipa modulare degli antichi vasai: l’anello cilindrico e nel rispetto dell’antica suddivisione artigiana dei compiti coinvolse tutta la scuola depositaria di cultura e “porta aperta” verso la conoscenza. Per quasi un ventennio Mattucci diresse una modernissima scuola-bottega verso la realizzazione di un’impresa titanica, di circa cento pezzi, presentando al mondo intero l’espressione rinnovata di unicità ed estro creativo castellano che configurò l’Istituto come una scuola-pilota sviluppata con criteri vicino a una moderna Bauhaus. Il Presepe di Castelli diventò così uno dei più alti esempi di cromatismo materico su cui furono stesi i colori della tradizionale pentacromia elaborati personalmente dall’artista e ammorbiditi con l’uso della cristallina prodotta segretamente da Mattucci nella fabbrica Spica dell’Ing. Potito Randi. Qui, in un felice connubio tra arte e industria, furono utilizzati anche i forni a tunnel per la cottura dei grandi pezzi in materiale refrattario. L’opera fu esposta per la prima volta nel Natale del 1966 sul sagrato della chiesa di Castelli e riconosciuta dall’intera comunità come “il presepio di tutti”, stabilì il primo rapporto tra scuola e società. La moderna epifania rivelazione dello spirito, di ormai 74 pezzi, raggiunse l'entusiasmo del grande pubblico e della critica nel 1970 ai Mercati Traianei di Roma per poi diventare una star internazionale nel 1976 nei luoghi sacri della cristianità: Gerusalemme, Betlemme e Tel Aviv. Per Il Presepe nel 1981 Mattucci ricevette la prestigiosa onorificenza di “Cavaliere della Croce di Gerusalemme” conferitagli dal Gran Maestro della Chiesa di Dio di Gerusalemme. Del Presepe si sono occupati la stampa nazionale ed internazionale e diversi critici. Oggi l’opera di 54 pezzi è esposta nei locali del Liceo Artistico per il Design “F. A. Grue” ex ISA.
Maria come mediatrice tra Dio e l’uomo, tra la terra e il cielo, fu rivestita di un cielo stellato blu cobalto. Il cilindro (il corpo) come il fusto di una colonna era costituito da rocchi i quali “venivano modellati sul tornio in gesso per realizzare lo stampo che serviva per la successiva modellazione con il refrattario” (ricordo del Prof. Daniele Guerrieri), successivamente questi venivano decorati con l’uso della tradizionale pentacromia castellana su cui veniva steso un grosso strato di cristallina traslucida (la “penicillina” segreta di Mattucci) per ammorbidire i contorni e spezzare la rigidità del segno.
Realizzato come un viaggio intorno alla civiltà e ricco di incontri, il Presepe diventava anche un’educazione all’immagine per gli studenti, stimolando divertenti e acuti paralleli stilistici
come emerge dal ricordo del ceramista Prof.Maurizio Carbone che da giovane studente distingueva lo stile del Prof. Trucchia da quello del Prof. Bentini dalla fisionomia magra e allungata dei volti delle statue su cui leggeva tratti simili allo scultore bolognese. Trucchia diede una connotazione più barocca rispetto alla fase successiva che fu risolta con volumi più sintetici. Nei Re Magi la materia e le preziosità cromatiche furono messe in risalto dalla vibrazione spaziale data dai pieni e dai vuoti, dalle scanalature dei busti come colonne e dai riccioli decorativi a spirale in cui si insinuava la luce e il colore di materia.
Alla continua ricerca di un incontro tra tradizione e innovazione, le figure delle Dame sembravano provenire dal dolce stil novo con una capigliatura a boccoli all’insù tipica della
generazione beat anni ‘60-’70 che le collocava nella modernità e le inseriva in una dimensione affabulativa ricca di colte annotazioni. Nel copricapo è evidente la ricerca di una geometria sacra dai messaggi universali. A forma di cono spiraliforme rivolto verso l’alto ricorda il cammino dell’anima verso il Paradiso delineato da Dante nella Divina Commedia.
Con l’Abruzzesina siamo in epoca Roberto Bentini e la figurazione cambia, ma nonostante i volumi diventino più sobri e “la struttura a colonna viene in parte abbandonata per una maggiore libertà interpretativa” (Antonio Planamente), si avverte, in tutta l’intera composizione corale, unità e presenza identificativa di quell’aura castellana scaturita dalla regia di una mente creativa, alla continua ricerca del nuovo. Il piatto in testa con le pizze di formaggio (realizzate da Daniele Guerrieri), riconduce alla tradizione delle donne abruzzesi di portare sulla testa conche e ceste pesanti che, nonostante la fatica, imponeva un portamento da mannequin anni ‘70.
ll Presepe coltivò un linguaggio fluido, dinamico che proiettò l’opera verso il futuro. La programmazione scolastica ogni anno proponeva un nuovo argomento scelto dall’attualità configurando la scuola come un laboratorio di idee dal carattere fortemente informato e sperimentale. Nella seconda fase lo scultore Roberto Bentini spezzo la colonna per concedersi divagazioni contemporanee con volumi sempre più essenziali nutriti di citazioni culturali rintracciabili nella sfera terrestre in mano all’Astronauta vicina ai concetti spaziali di Lucio Fontana. L’idea di realizzare un Presepe in continuo divenire come simbolo e augurio di una spiritualità universale e sempre viva, fece affrontare temi come la pena di morte, il primo sbarco dell’uomo sulla luna e il Concilio Vaticano II.